La Pala del Perdono di Carlo Gesualdo


L'imponente tela collocata sull'altare della Chiesa di Santa Maria delle Grazie è intitolata "Il perdono di Carlo Gesualdo". Realizzata nel 1609 è attribuita al pittore fiorentino Giovanni Balducci.


descrizione

L'invocazione è rivolta al Cristo giudicante, la cui figura troneggia nella parte alta del dipinto; di fianco al Cristo: la Vergine Maria e San Michele Arcangelo. 

Ai piedi del Cristo, raffiguranti nella gestualità di chi sembra volere intercedere:

sulla sinistra San Francesco,

sulla destra San Domenico (Fondatori degli Ordini Monastici più importanti per la Chiesa di Allora), quindi Santa Caterina e la Maddalena.

Nella tela si osserva, in basso a sinistra, l'immagine del principe Carlo Gesualdo inginocchiato con le mani congiunte in atto di preghiera; al suo fianco l'immagine dello zio cardinale Carlo Borromeo (poi santo).

Il Gesualdo rivolge la mesta richiesta di perdono per il duplice assassinio della moglie Maria D'Avalos e del suo amante Fabrizio Carafa. Di fronte al principe vi è la moglie Eleonora d'Este, anch'ella in ginocchio, in atto di preghiera. 

A centro è raffigurato con le ali di un angioletto, il piccolo Alfonsino, morto nel 1600 in tenera età.


Con il restauro del dipinto, terminato nel 2004, la Pala del Perdono è stata riportata all'originale composizione.

Nel corso dei secoli l'opera è stata oggetto di "correzioni" più o meno vistose dettate dalle diverse credenze e dai diversi stili, di volta in volta, imposti dalla Chiesa. 

Eleonora d'Este era stata coperta con abito da monaca e la Maddalena era vestita con abito accollato. Ora Eleonora è vestita "alla spagnola" e la Maddalena ha un vestito scollato. Tutto ciò era dovuto alle conseguenze del Concilio di Trento e della Controriforma che non consentiva di tenere nelle chiese figure poco riverenti al luogo sacro.

 

Non si conosce il nome del braghettone (Autore delle Correzioni) de Il perdono di Carlo Gesualdo; tra le varie modifiche apportate anche l'inspiegabile cancellazione del nome dell'autore (Giovanni Balducci), poi emerso dal restauro dell'opera.



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